Switch-off, all'MPEG4 dal 1 gennaio 2020. 10 milioni di TV "a nero" tra 16 mesi
Pubblicata la roadmap del digitale terrestre da parte del MiSE: a inizio 2020 il passaggio di tutte le trasmissioni digitali nazionali all'MPEG4. I vecchi TV e quasi tutti i decoder destinati a non funzionare più.
Il testo della Roadmap della cessione della banda 700 deliberata dal MISE è finalmente pubblico e così, seppur tra mille dubbi ingenerati dal linguaggio "legalese" del provvedimento, si inizia a capire cosa succederà agli spettatori televisivi nei prossimi anni.
Dall'analisi del testo, la prospettiva decisamente prossima appare quella di uno switch off dell'MPEG2 al 1 gennaio 2020, ovverosia tra meno di un anno e mezzo. Il tutto, però, non per lasciare spazio al DVB-T2 HEVC, ma per sterzare verso l'adozione del codec MPEG4 sempre su modalità di trasmissione DVB-T.
[...] In coincidenza con l'avvio delle attività del periodo transitorio stesse nell'Area 1 di cui alla Tabella 1, è disposta sull'intero territorio nazionale la dismissione della codifica MPEG2 in favore della codifica MPEG4 su standard DVBT.
Non è sbagliato, quindi, parlare di uno switch off "morbido" rispetto all'ipotesi - disastrosa per i consumatori - di passare velocemente a DVB-T2 HEVC. Infatti tutti i TV che oggi sono in grado di ricevere le trasmissioni HD sono già pronti al passaggio a MEPG4. Ma - sia chiaro - si parla di diversi milioni di schermi non ancora compatibili, probabilmente una cifra intorno ai 10 milioni: tutti i TV più vecchi e soprattutto i decoder esterni che, in larga parte, non sono HD. 10 milioni di schermi che, nel giro di pochi mesi, andranno adeguati al codec MPEG4 o andranno "a nero", per lo meno per quello che riguarda il digitale terrestre.
Sarà quindi uno swtich-off a tutti gli effetti, che comporterà disagi anche per i tempi serrati: come si legge nel testo, il passaggio a MPEG4 sarà istantaneo in tutta Italia e se questo da un lato aiuterà ad allestire una campagna di informazione efficace ed efficiente (che però deve iniziare velocemente), dall'altro porterà su negozi e installatori una pressione concentrata in un periodo molto breve che potrebbe essere faticosa da gestire.
Inoltre, il passaggio, che prevede anche la riconfigurazione delle frequenze per iniziare a liberare quelle in banda 700 e quelle in conflitto con i Paesi confinanti, durerà molto poco. L'Italia è stata divisa in 4 macro-aree che, ognuna delle quali dovrà effettuare una parte rilevante del processo di migrazione (spostamento delle locali, riaccorpamento dell'informazione regionale in un nuovo multiplex, spostamento delle frequenze in banda 700) in finestre da 4 a 7 mesi a seconda delle regioni.
E se questo può sembrare - e probabilmente lo è - un problema per le emittenti, i disagi non mancheranno anche per la popolazione, visto che in questi pochi mesi buona parte degli impianti condominiali d'antenna richiederanno interventi di manutenzione per agganciare le nuove frequenze. Interventi che probabilmente toccherà ripetere nei mesi finali della cessione della banda 700, ovverosia da settembre 2021 fino alla scadenza ultima del giugno 2022, in cui ci saranno gli ultimi e più importanti riposizionamenti per arrivare a quanto previsto dal Piano Nazionale di Assegnazione delle Frequenze (PNAF2018).
Cosa cambia per gli utenti
Se ci fossero frequenze in abbondanza, un passaggio a MPEG4 sarebbe decisamente auspicabile perché sicuramente non disastroso dal punto di vista dell'adeguamento del parco TV installato e perché sarebbe propedeutico al passaggio di tutte le trasmissioni in alta definizione. Il rischio, invece, è che le frequenze disponibili siano talmente poche da spingere le emittenti a mantenere in vita tutti i canali odierni, mantenendoli in standard definition in MPEG4. Il che non porterebbe alcun vantaggio all'utente pur comportando qualche disagio: vecchi TV e decoder non più compatibili, necessità di adeguamenti dell'impianto di antenna e così via.
La stragrande maggioranza dei TV HD (anche non Full HD) è già compatibile con le trasmissioni in MPEG4: per verificarlo, la cosa più facile da fare è vedere se il proprio TV è in grado di sintonizzare correttamente qualche canale in HD, come per esempio Rai Uno HD sul 501. In tal caso, il TV è già pronto al passaggio del 1 gennaio 2020. Meglio ancora verificare se si riceve sia La 7 che La 7 HD (che sono sulla stessa frequenza): se si ricevono entrambi è OK, se si vede solo la versione in standard definition, il TV non sarà compatibile. E quindi andrà sostituito o affiancato da un decoder compatibile: ce ne sono già in vendita molti modelli.
Torna d'attualità il ruolo del satellite
Troppo spesso trascurato in Italia, il satellite dovrebbe rientrare di forza nelle strategie delle emittenti italiane. Infatti allo stato delle cose, con il passaggio al nuovo assetto frequenziale che si concluderà senza il passaggio al DVB-T2 HEVC (che potrebbe comunque avvenire ma più avanti, solo quando il parco installato consentirà un passaggio sufficientemente indolore), la possibilità di migrare tutti i contenuti verso una trasmissione per lo meno HD sembra più lontana. E questo in un periodo in cui una fetta di utenti, invece, chiederebbe trasmissioni in 4K. Con contenuti che ci sono - vedasi in Mondiali di Russia che Mediaset non ha trasmesso in 4K pur avendone i diritti - ma che sul digitale terrestre proprio non trovano spazio. Un approccio intelligente - peraltro da noi ipotizzato oramai qualche anno fa - sarebbe quello di mantenere il digitale terrestre come servizio di garanzia per l'erogazione dei servizi universali di base (SD se necessario), spostando il focus qualitativo verso il satellite; piattaforma questa che invece non ha limiti di banda e che potrebbe permettere già oggi, per l'utenza interessata, la ricezione di contenuti HD e 4K a qualità e bitrate impensabili per il digitale terrestre di oggi e soprattutto per quello di domani. La piattaforma c'è già : è Tivusat, che parte da un'installato, una serie di prodotti compatibili e una rete di installatori e rivenditori consolidata. Lasciare ancora una volta il satellite fuori dalla programmazione nazionale dell'emittenza TV, vorrebbe dire mettere a rischio non la salute del digitale terrestre, che non dovrebbe più neppure essere all'ordine del giorno dell'agenda politica, ma quella dell'intero assetto radiotelevisivo italiano, che potrebbe vedersi sorpassare nelle abitudini e nelle prestazioni, da chi i contenuti oggi li distribuisce via rete.
Volendo essere realisti - e malgrado il lancio di DAZN - la rete, e soprattutto quella italiana, non è ancora in grado di reggere la pressione di milioni di utenti streaming contemporanei. E soprattutto non avrebbe alcun senso mettere sotto pressione Internet per la distribuzione in multicast di contenuti live che via satellite vengono trasportati in un continente intero con un singolo flusso di dati. Il legislatore e il tavolo tecnico costituito in questi giorni dal MiSE non potrà non tenerne conto.
Verso la fusione di Rai Way con EI Towers
Il Governo - e questo è corretto - intende rispettare i tempi previsti dall'Europa per il rilascio della banda 700. Meno chiaro - almeno a noi - è se e come le licenze sulle frequenze di oggi potranno essere convertite in pari capacità trasmissiva. Il passaggio da MPEG 2 a MPEG 4 è sicuramente migliorativo in termini di efficienza, ma probabilmente non decisivo per recuperare interamente il taglio di frequenze nazionali disponibili alla fine del piano di riassetto, che passano in pratica da 18 a 10. Certamente una parte di spettro si recupererà evitando il simulcast SD-HD che si fa oggi: diventando tutte le trasmissioni in MPEG 4, a questo punto - per chi lo fa già - tanto vale trasmettere solo il canale in HD, risparmiando la banda del canale in standard definition MPEG2 di oggi. Ma potrebbe non bastare; e comunque dovrebbe portare ad accordi tra emittenti sulla condivisione di multiplex che oggi, senza un gestore unico della rete di trasmissione, sembra difficile ipotizzare. Anche in questo senso, una fusione tra EI Towers e Ray Way, di cui si è tornati a parlare in queste settimane, potrebbe essere auspicabile, se non addirittura necessaria.